A.I.
L'apparenza inganna e non inganna soltanto chi la guarda ma anche chi la mostra.
Questo secolo e quello precedente, lasciando perdere l'infinità di stronzate che l'umanità ha prodotto e che prima ha pensato di produrre e a come farlo (l'errore si nasconde sempre nell'intenzione iniziale e vera che nel tempo produce giustificazioni tanto false quanto apparentemente lecite per ogni cosa!), dovrebbero in futuro essere ricordati principalmente per il ridicolo e spropositato numero di annunci riguardanti la realizzazione di una intelligenza artificiale. La questione non è superficiale come può apparire anzi, da un punto di vista assoluto la ricerca indirizzata alla realizzazione di una A.I. comporta, che lo voglia o meno e che lo sappia o meno, dei presupposti, dei postulati di partenza. Una intelligenza artificiale può essere realizzata (sempre se davvero è possibile, cosa questa ancora tutta da dimostrare!) soltanto a partire da una definizione univoca e certa di ciò che si intende per intelligenza. Poi, una volta stabilito il postulato iniziale, va stabilito il metodo (non UN metodo ma IL metodo, perché è IL metodo soltanto dopo essere stato stabilito mentre è soltanto UN metodo finché è soltanto uno dei tanti possibili. Sembra pignoleria vero? Ma in realtà questi due piccoli dettagli determinano l'abissale distanza che separa la vera conoscenza dal dogma. Un metodo non stabilito in modo certo, non univoco, consentirà a chi lo segue di deformare sempre più il significato del postulato di partenza (la definizione di intelligenza!) per adattarlo via via e quasi sempre inconsapevolmente ai risultati ottenuti e per aggirare i numerosi ostacoli che di volta in volta si presentano. Di fatto l'essenza dell'epoca attuale sta tutta e soltanto nell'ostinazione con cui l'uomo cerca l'omologazione dell'uomo, la sua riduzione a un numero definito (grande o piccolo non ha importanza, basta che sia un numero certo!) di schemi, di algoritmi. La tecnologia sta educando l'uomo plasmando e ridefinendo l'intelligenza per ridurla a qualcosa di riproducibile artificialmente, sta cambiando lungo il percorso (a partita in corso!) le regole del gioco che ha scelto di giocare (non costretta da nessuno e da niente!) perché altrimenti non riesce a giocarlo con soddisfazione e profitto. Il modo di pensare e la struttura stessa della mente degli individui viene plasmata da l'interfaccia utilizzato per relazionarsi con le macchine; se inizialmente l'interfaccia veniva concepito per rendere il più possibile pratico l'utilizzo di un hardware e di un software, oggi il rapporto si è ribaltato, sono gli individui ad essere costretti a concepire loro stessi in modi sempre diversi per risultare più adatti all'interfaccia, per non essere colpevoli di renderlo loro poco pratico e, di conseguenza, la macchina poco fruibile se non inutile. Questa è l'epoca (la prima!) in cui prima si inventano e costruiscono le cose e poi se ne cerca il possibile utilizzo, utilizzo che deve per forza di cose essere il più profittevole e quello con il maggior impatto sulla massa. Oggi gli individui dipendono quasi totalmente da cose che in realtà svolgono peggio funzioni che prima venivano tranquillamente svolte senza di esse, peggio perché le svolgono in modo superficiale dovendo sottostare ad algoritmi e schemi generali. Sono macchine! Sono cose morte! Il solo presupposto indispensabile al che ci sia intelligenza è la vita. Svegliatevi sapientoni specializzati oltre misura! Ignoranza non è soltanto il non sapere ma anche il sapere tutto soltanto di qualcosa di specifico e quasi niente del resto. La specializzazione è l'origine della rigidità della società che si trasforma pian piano da aggregazione di individui in movimento a contenitore di esemplari di animali ognuno con il suo spillo che lo inchioda alla sua prigione invisibile e immateriale.
Ma va da sé.
L'essere umano è in realtà soltanto un animale evoluto soltanto per quel che riguarda la realizzazione e l'utilizzo di arnesi, è per i mammiferi ciò che le api e le formiche (per fare due esempi) sono per gli insetti, con il problema che mentre gli insetti hanno risolto (nel modo giusto o meno non sta a me dirlo) la loro questione con gli istinti sessuali, gli esseri umani sono ancora dei mammiferi che vivono in branco dal punto di vista sessuale, sono come leoni , lupi o branchi di erbivori... ma leoni lupi e vacche non costruiscono niente! Si muovono in un territorio sfruttandolo seguendo un leader senza costruire niente, mentre le api e le formiche costruiscono città e le gerarchie e le norme indispensabili per viverci, le api e le formiche si sono specializzate a tal punto da non mostrare quasi più somiglianza fra le varie categorie di individui che abitano le loro città, di fatto un'ape regina è praticamente un esemplare di una specie diversa rispetto ad un'ape operaia o a una guerriera. Lo sviluppo tecnologico si comporta come una forza che seleziona, distingue e separa, pur non essendo in realtà il suo scopo. Il percorso tecnologico è senza uscita, rende meno flessibili gli appartenenti ad una specie, li costringe a specializzarsi e a distinguersi in sottospecie diverse che convivono socialmente e che proprio per questo dipendono le une dalle altre, qualsiasi fattore esterno o interno che colpisca anche una sola componente della costruzione sociale, colpirà duramente tutta la costruzione. Il percorso tecnologico rende alla lunga meno adatti alla sopravvivenza nel lungo termine pur rendendo i più adatti nel presente e nel breve termine; per gli esseri umani la questione è più complicata perché sessualmente si concepiscono come mammiferi che vivono in branco in un territorio abbastanza vasto mentre le loro società sono formicai e alveari claustrofobici nei quali ogni individuo deve svolgere la mansione alla quale la società lo ritiene destinato. In effetti il concetti stessi di destino, di karma, di volontà divina, di determinazione genetica, di principio di causa-effetto, sono funzionali allo sviluppo di una società rigida e immobile come quella di un alveare o di un formicaio.
La specie umana è in effetti nel suo punto di non ritorno qualunque strada deciderà di prendere o sarà costretta a decidere di prendere. Il più forte è il più adatto già da prima e non chi si adatta meglio dopo perché chi si adatta meglio dopo raramente esiste ancora dopo, soltanto chi è più adatto da prima ha più probabilità di esserci anche dopo e quindi di potersi adattare.
Il linguaggio è uno strumento divertente, apparentemente sembra unire gli individui, sembra legarli, ma in realtà li separa perché per unire deve essere condiviso e per essere condiviso in modo univoco deve essere sempre più generale e superficiale e quindi finto. In effetti il linguaggio è il padre di ogni menzogna di chi lo utilizza anche se chi lo utilizza non è di per sé un bugiardo (mi piacerebbe tanto che questo lo potesse leggere B. Russell dal luogo in cui non è ora perché non esiste nessun altro luogo oltre quello in cui siamo sempre, siamo noi che non siamo sempre noi pur essendo sempre qui. Lo spaziotempo non diviene ma è, diceva A. Einstein, quando parlava del continuo non stava facendo della filosofia o del misticismo, è la fisica contemporanea ad essere ancora e soltanto superstizione! Basti pensare alla gravitazione, una forza agente a distanza sugli oggetti alla quale I. Newton stesso non ha mai creduto ma che faceva e fa tornare i conti e che perciò solo per questo è vera; oppure alle derivate e agli integrali che si fondano su oggetti geometrici infinitamente piccoli tanto da poter essere arrotondati allo zero pur non essendo uguali a zero e su serie infinite di differenze che portano ad un risultato definito. Nessuno ha ancora spiegato cosa rappresentino nel reale quegli infinitamente piccoli discretamente infiniti. Però funziona perciò sono cosa buona e giusta tanto quanto lo era l'etere di Aristotele finché ha funzionato... se sostituiamo all'etere uno spaziotempo inteso geometricamente come la sola sostanza di cui è fatto tutto, lo Stagirita aveva ragione e avevano ragione anche Eraclito e Parmenide perché in fondo l'essere di cui parlavano senza poterne parlare non è altro che la geometria complessa che noi chiamiamo spaziotempo, ciò di cui tutto è fatto).
Per farla breve, ecco l'annuncio: "La prima vera intelligenza artificiale verrà realizzata a breve, non appena la maggioranza degli esseri umani penserà in un modo riproducibile dalla tecnologia a disposizione".
Quindi chi vuole davvero tanto la realizzazione di una intelligenza artificiale si rincoglionisca presto e si dia da fare per rincoglionire quante più persone può. Non è difficile, viene fatto da molte migliaia di anni e ha molti nomi: religione, misticismo, settarismo, moralismo, razionalismo, empirismo, politica, storicismo, illuminismo, cinismo, psicologia, psicoanalisi, psichiatria, sciamanesimo, ecc... e tutte le infinite prassi e pratiche, mode, abitudini culturali, morali, sessuali.
Superstizioni! Giustificazioni che giustificano l'ingiustificabile per rendere sopportabile ciò che nessuno dovrebbe sopportare ma che tutti preferiscono sopportare per non doversi sobbarcare l'onere delle terribile fatica che comporta il pensare con la propria testa. Tutto il pensiero della storia dell'umanità si fonda su un equivoco sottinteso che si chiama libertà. Tutto quel che è stato predicato, insegnato e scritto, si fonda sulla definizione della libertà come a un qualcosa a cui si rinuncia (almeno in parte) per convivere (vivere con, vivere vicino, vivere insieme), ma non esiste una definizione del qualcosa a cui si rinuncia, nessuno ha mai saputo dire cosa è la libertà e non perché nessuno è mai stato in grado di dirlo ma semplicemente perché una definizione (qualunque definizione) è la negazione della libertà (risolvi questo dal lassù che non c'è caro Russell! Il linguaggio, la sintassi, la grammatica e la logica, non potranno mai rappresentare la realtà e di conseguenza neppure la verità! C'era quasi Wittgenstein). Tutto il sapere umano si basa sul qualcosa che non può sapere e che perciò rinuncia a sapere per, per un fine, uno qualsiasi, arbitrario, deciso di volta in volta in ogni epoca e da ogni civiltà, un fine che pur essendo sempre diverso per me ha solo un nome (quello che preferisco) che lo rappresenta compiutamente, destino! Il nemico che ho sconfitto già da bambino decidendo che non sono nato per ma sono nato, punto. Questo è l'inizio soltanto e la destinazione va scelta e perseguita liberamente e mai tradita o sminuita, altrimenti la vita non è vita e senza vita non è intelligenza. Socrate diceva (si dice che diceva per essere onesti) che una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta. Io dico (e lo dico io che lo dico e lo vivo ogni istante di ogni giorno!) che una vita vissuta per uno scopo che non va oltre quella vita stessa è inutile, e non ho bisogno di divinità o misticismi per credere che ciò che ho fatto e che farò (per me i pensieri e le emozioni sono concreti quanto le azioni, sono geometrie dello spaziotempo quanto lo sono la materia e l'energia!) determinerà almeno in piccolissima parte ciò che troverò nel mio eterno essere qui (pur non essendo mai lo stesso!) essendo fatto della stessa unica cosa di cui è fatto tutto. I. Kant lo chiamava imperativo categorico, io lo chiamo desiderio. Un desiderio che crea contrariamente all'ambizione che insegue, un desiderio che scrive e dipinge invece di cercare maniacalmente di leggere un libro scritto in linguaggio matematico che non esiste, un desiderio che non si ferma al come e avanza sempre alla ricerca del perché. Un desiderio che non si estingue mai qualunque cosa accada. Un desiderio che è me, che è vita e intelligenza e non limitata, grigia e fredda ragione (fattene una ragione Voltaire! La tua amata marchesa valeva infinite volte più di te eppure quasi nessuno la ricorda perché le chiacchiere, le luci e i colori, impressionano sempre gli esseri umani di più di ciò che è veramente concreto. Ma io la ricordo, perciò i suoi pensieri e le sue emozioni che sono stati lei hanno cambiato la realtà senza la morte e la distruzione portate da coloro che combattono i dogmi con altri dogmi travestiti da altro).
Intelligenza... Che differenza esiste fra l'apprendere e il comprendere? e fra il comprendere e l'essere consapevoli? Quanto vale l'apprendere di chi o di ciò che non è consapevole di apprendere e di quel che apprende?
Intelligenza.