La diagnosi psicologica del Welfare
Nella celebre canzone di Israel Kamakawiwo'ole, "Somewhere over the rainbow", il ritornello ci fa respirare in un mondo ideale: "da qualche parte sopra l'arcobaleno volano uccelli blu ed i sogni che hai fatto diventano realtà, dove i problemi si fondono come gocce di limone" .
Oggi la società italiana sta attraversando un arcobaleno di difficoltà, a partire dalle politiche interne, all'economia nazionale ed internazionale, incidendo crepe profonde nella propria storia e facendo registrare un netto incremento di comportamenti criminosi e patologie depressive.
Questo, secondo diversi sociologi, sarebbe conseguenza diretta di un modello sociale come il nostro, che apre agli individui che ne fanno parte un ventaglio di aspirazioni maggiore rispetto al passato, ma concretamente nel momento in cui le aspirazioni di individui, o gruppi di essi, non coincidono con le ricompense a disposizione all’interno della società stessa, si crea una disparità tra desiderio ed appagamento che può alimentare le motivazioni devianti di alcuni membri; secondo questa ipotesi le fasce sensibili a rischio di atti criminosi sono le più povere del paese.
Visto da un punto di vista più individuale il problema si affronta in termini di mancanza d’inserimento sociale e conseguente alienazione che indurrebbero la persona verso la diretta via della patologia mentale.
Incontro il prof.Enrico Perilli, psicologo e psicoterapeuta specializzato in Psicoterapia Gestalt Analitica individuale e di gruppo presso il Centro Studi Psicosomatica, ricercatore e docente presso l'università degli studi de l'Aquila
Domande
Può la precarietà del lavoro, assenza di sicurezza, stabilità economica e sociale portare ad una patologia depressiva?
Nel parlare della patologia depressiva si deve intendere da subito una dinamica di multifattorialità; anche negli episodi di suicidio a seguito della perdita del lavoro più fattori concorrono all’ideazione e poi la messa in atto di un comportamento suicidario, quindi la perdita del lavoro può aprire la porta ad una serie di problemi di natura affettiva o materiale, che possono quindi portare all’insorgenza di una patologia depressiva.
Diceva Crepet “ il disoccupato è colui che non “è” , poiché il lavoro struttura anche un’identità sociale” .
Ad esempio il maggior numero di suicidi dovuti alla perdita del lavoro li registriamo in una fascia di età abbastanza elevata, tra i cinquanta ed i sessantacinque anni, quando un’identità sociale legata al lavoro viene consolidata e poi decade con la perdita dello stesso, perché socialmente si viene precipitati in un ruolo nel quale non si è mai stati, si precipita nel non avere più un’identità, quindi non ci si percepisce più membro integrato della società di riferimento, o peggio, come un capofamiglia degno di essere chiamato tale, e quando questo viene tolto ci si sente sprofondare nel nulla,nel vuoto, poi c’è da considerare sicuramente la struttura di riferimento, la rete famigliare, la struttura di personalità dell’individuo
Quanto la politica può incidere nel far sentire un individuo insicuro all'interno della società?
La politica può dare la rappresentazione che dei problemi della comunità se ne stia facendo carico, che quindi non si è soli, oppure può dare l’impressione che dei medesimi problemi non se ne stia facendo carico, così che l’individuo cade in un baratro di solitudine, e questo vale sia per la perdita di lavoro, che per gli esodati, che per la casa… se il tuo problema viene riconosciuto hai una sicurezza in scala comunitaria, ma la cosa peggiore è il caso in cui il problema non viene riconosciuto perché è li che si crea quel senso di rabbia verso l’istituzione che si fa cieca nei confronti della propria società.
Prima, nella società cosiddetta solida, vi erano delle strutture che erano contenitori forti, la famiglia, le organizzazioni come la parrocchia, i sindacati, i partiti, che contribuivano a dare un senso di appartenenza e quindi di comunità. Il senso di appartenenza viene citato come il terzo bisogno primario dell’uomo, quindi è una necessità ancestrale e viva in ogni individuo, rassicura e non fa sentire persi in un mare magnum spesso minaccioso quale può essere la società. Tutto questo adesso non c’è più.
Queste strutture solide aiutavano anche la formazione di una coscienza nei confronti dei problemi comunitari, ma conclusasi la società detta “delle ideologie” (ideologie intese come apparato ordinato di idee) l’individuo non solo si ritrova solo, ma si trova privo di contenitori che lo aiutino a leggere la realtà, e si trova ad appartenere a questa condizione di insicurezza che lo rende preda di chi è più forte.
E’ diventata una “deculturalizzazione”, una mancanza di strumenti che diventino chiavi di lettura per il presente.
Un sistema attuale è capace di generare cambiamenti comportamentali ,rendendo l'individuo violento o apatico?
Dalla classificazione di “Asociale”, colui il quale non partecipa alla vita sociale, siamo passati alla classificazione di “Antisociale”,ovvero colui che va contro la società.
Questo perché sentirsi esclusi da tutto e tutti, quindi percepire ciò che abbiamo attorno come minaccioso, affogare all’interno della società e non riscontrare un senso di comunità, in una realtà estremamente competitiva come la nostra, porta ad interiorizzare principalmente emozioni di rabbia ed invidia.
L’Italia chiede ai propri cittadini di diventare eroi, e questo è impensabile da un punto di vista sociale, sia perché gli eroi sono pochi, e solitamente finiscono male (ride), ma soprattutto perché è necessario instaurare un senso di comunità reale, ormai smarrito, dove il benessere psico-fisico dell’individuo possa essere interesse della comunità tutta e non della persona capace di “badare a se stessa da sola”.
Ci si sente di non partecipare più alla vita sociale e questo è un passaggio psicologico importante perché se non ci si sente soggetto attivo, ci si percepisce come soggetto passivo ed un soggetto passivo non fa altro che crearsi un numero eccessivo di frustrazioni, perde la concezione di benessere, si sente estromesso; negli Stati Uniti questi episodi di antisocialità spesso sono commessi ad individui che da anni si sentono espulsi dalla vita civile, dalla vita democratica; se poi sia oggettivamente vero non è importante, poiché è molto più importante la rappresentazione psicologica che si ha di se stessi, è quella che assicura la stabilità personale o scatena meccanismi mentali devianti.
Ad oggi possiamo affermare che la percentuale di individui patologici sia aumentata per ciò che stiamo vivendo in Italia?
Assolutamente si, e non solo in italia, anche in altri contesti dove le idee dominanti sono le stesse, quindi società ultra competitive dove le sacche di povertà, di debolezza sociale diventano sempre più grandi creando negli individui una fragilità psicologica profonda; è una società che “patologizza”.
Ad oggi la maggior parte dei sintomi di ansia non sono dati da una mancanza del lavoro in se, ma da una fase evolutiva di crescita bloccata da questa mancanza: un ragazzo si laurea, si specializza e conseguentemente dovrebbe “evolvere” entrando nel mondo del lavoro, e ad oggi purtroppo non è così.
I sentimenti di rabbia, invidia, sentimenti negativi, sembrano essere più coriacei della forza d’animo, come mai?
Questo dipende molto da come è stato vissuto lo stile di attaccamento alle figure genitoriali, se abbiamo di fondo una sensazione di fiducia o meno o una struttura di personalità forte o meno.
In più gioca un ruolo fondamentale la percezione di quanto possano valere gli sforzi necessari al cambiamento positivo; se anche inconsapevolmente un individuo ritiene che un sacrificio non sarà ricompensato adeguatamente per la sua sussistenza, automaticamente si sceglierà un’altra opzione di comportamento
Ciò che colpisce di più infine è che società molto più povere economicamente della nostra presentano un livello di soddisfazione e benessere individuale psicologico molto più alto, il livello di somatizzazioni, preoccupazioni, di un abitante africano ad esempio, non è neanche lontanamente paragonabile al nostro.Il benessere non si conta sul numero di cose che possiedi,non è quella la felicità.
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