LA SCELTA (DEL FOTOGRAFO)

C’è stato un periodo di tempo, un lungo periodo di tempo, in cui non riuscivo a capire perché le mie foto non fossero abbastanza buone.
Dopo quel lungo periodo ho iniziato a cambiare approccio, ovvero mi sono chiesto: “Qual è l’elemento o quali sono gli elementi comuni alle (poche) mie foto che mi piacciono?”.

All’inizio non riuscivo a trovarne nessuno. C’era qualche sporadico scatto che amavo, da cui traevo una vaga e generica soddisfazione visiva a cui non sapevo però dare un nome o un’etichetta, e nient’altro.

Un giorno, l’illuminazione.

Ma ci torniamo dopo. Prima faccio una piccola digressione.

Lo stress. Lo stress è una condizione che patisco spesso, e la cosa che mi porta stress è soprattutto l’accumularsi di impegni, pensieri, cose da fare, telefonate, arrabbiature, e così via. Il problema non è nelle singole cose, tutte altrimenti gestibili e, anzi, tutte utili non fosse altro che per l’esperienza.

Il problema vero è nel fatto che queste si presentano tutte assieme. Non riesco, in quei momenti, a metterne a fuoco realmente nessuna: tutte sono affastellate, accumulate, creano un insieme disturbante da cui non si trae nulla se non, appunto, lo stress.
In alcuni momenti mi pare di soccombere, di non farcela, di non avere le energie e l’attenzione per nessuno di quegli elementi.

Poi, pian piano, una dopo l’altra, le cose vanno a posto.
E’ come se ci fosse nella mia testa una visione, ipotizziamola come uno spazio rettangolare, dentro cui si riversano tutti gli impegni e gli avvenimenti di una giornata.
Uno, due o tre, riesco a visualizzarli in ordine, magari ne metto uno a sinistra, uno al centro, uno a destra, e li affronto singolarmente.
Quando iniziano a diventare di più, quattro sei dieci e così via, il rettangolo si riempie, non trovo più un ordine, si sovrappongono, si intrecciano.

Torniamo ora all’illuminazione.

Poniamo che quel rettangolo, contenitore mentale della mia agenda quotidiana, sia un altro tipo di rettangolo: un’inquadratura fotografica.
E che gli impegni e avvenimenti quotidiani siano altro tipo di elementi: i soggetti e gli oggetti in una fotografia.
Ecco che la mia illuminazione prende un senso: se riempio un’inquadratura di elementi disordinati, troppo numerosi, sovrapposti, non potrò che avere una cattiva fotografia.
Se vogliamo concludere il mio esempio: una fotografia stressante.

se riempio un’inquadratura di elementi disordinati, troppo numerosi, sovrapposti, non potrò che avere una cattiva fotografia.

Da lì è stato più semplice arrivare al senso, a quello che credo sia alla fine il vero ruolo del fotografo.

Che è quello, cioè, di focalizzarsi – e quindi focalizzare l’attenzione dello spettatore della fotografia che verrà – su un elemento, o su pochi elementi, decidendo quale sarà il fulcro di quel piccolo racconto che è la singola fotografia e solo dopo potendo dedicarsi quindi all’inquadratura, alla composizione, agli equilibri.

La cosa difficile è poi quella di dover fare tutte queste cose spesso in qualche breve istante, e lì sta la bravura epica di alcuni mostri sacri e il mediocre zoppicare di tanti fotografi normali (come me, ad esempio).

Un raggio di luce, un colore, un elemento non visibile, una persona: questi alcuni degli elementi su cui riflettere, da portare in primo piano nell’osservazione del raccontabile.

Ed è così che ho iniziato a pensare, atto inevitabile per chiunque voglia scattare delle foto, che non siano solo delle “belle immagini”, ma che vogliano dire qualcosa.
Ho iniziato a pensare: “Che cosa sto fotografando? Perché? Cosa attrae la mia attenzione? C’è un elemento o alcuni elementi, o scatto lì nel mucchio di tante cose, confuse e sovrapposte, e spero venga fuori qualcosa di buono?”.

Ovviamente, le mie foto hanno iniziato a piacermi – e a piacere – di più.

Mentre scrivo queste righe, mi viene in mente che in realtà, a ben pensarci, tale scelta è appannaggio di chi si distingue in ogni settore.
Riuscire a eccellere in qualcosa vuol dire, spesso, riuscire in un dato momento a portare fuori un’idea, una singola idea sviluppata nel migliore dei modi.

Il gesto atletico di uno sportivo. La direzione delle linee di un edificio di un certo architetto. Il sentimento di fondo di un romanzo ben scritto. Un’idea imprenditoriale.

Tutto questo si distingue per un focus ben chiaro, e per la capacità di puntare dritto a quello, solo a quello, e a nient’altro che non serva a quello, si tratti di un istante (un gesto atletico, una fotografia) o di anni (un progetto, un romanzo).

Spero che qualcuno mi dica la sua.

(Le foto in questo post sono tutte dell'autore. Dall'alto: Donna in rosso; La mangiatrice di fuoco; Lio; La nonna della sposa.)