Hell Ain’t a Bad Place to Be (After All)
Cari tutti, ben ritrovati.
Dopo una lunga pausa (davvero troppo lunga!), rieccoci sulle pagine di Altrimondi, il Magazine del Fantastico che passeggia impavido tra visioni impossibili e meravigliose, incubi gotici e allucinazioni fantascientifiche, lungo l’Highway 66 dei demoni, degli dèi e dei sognatori… Per quelli tra voi che (comprensibilmente) non mi conoscono (o riconoscono), è vivamente consigliata una rapida visita alla mia pagina-blog di Steemit, dove potrete farvi un’idea di quant’è la strada che finora abbiamo percorso…
Dopodiché, tornate qui, mi raccomando, perché oggi abbiamo un piatto decisamente speziato con cui deliziarci. Una pietanza saporita e piccante, come piccanti sono la tentazione, il peccato e la fiamma infernale. Ci inoltreremo infatti nelle cripte di antichi monasteri, all’ombra incerta delle candele, dove uomini e donne che avevano votato l’anima a Dio si sono infine persi nella tenebra di Satana…
Wow! Roba forte, no?
Mentre scrivo queste prime righe, i cinema di mezzo mondo sono in attesa di ricevere l’oscura benedizione di The Nun, ultimo (solo in senso cronologico) passo della lunga escursione in Spettrolandia che il regista-sceneggiatore James Wan ha avviato suppergiù nel 2010 (con il super-chiller Insidious), ma che ha un meno noto precedente nel suo Dead Silence (2007) – sorta di prova generale per ciò che sarebbe venuto in seguito… Wan è un giovane talento hollywoodiano che è stato capace di inanellare una sorprendente serie di successi, scommettendo ogni volta sulla roulette dell’incubo soprannaturale o del thriller sadico-sanguinario (è sempre lui, insieme all’amico Leigh Whannell, ad aver ideato, nel 2004, l’interminabile saga di Saw). Tra i suoi meriti va senza dubbio enumerato quello di aver favorito – insieme ad altri suoi colleghi, of course – il recente rinascimento della Ghost Story cinematografica, anche se i suoi detrattori lo accusano di usare con troppa disinvoltura il cosiddetto Jumpscare (l’equivalente del nostro “Buh!”), cioè di ricorrere a qualsiasi trucchetto triviale pur di far saltare sulla sedia il pubblico pagante… Comunque sia, per quanto ci riguarda, tutto questo è di scarso interesse. Due o tre click del vostro mouse, ben assestati sui tanti siti di cine-gossip che infestano la Rete, saranno più che sufficienti per scoprire tutto quello che c’è da sapere su vicende così attuali. Viceversa, a interessarci è qualcosa capace di sospingerci all’indietro nei secoli, lungo un percorso meno scontato. E questo Qualcosa è proprio lei, The Nun, la monaca – o suora – malefica, la demoniaca entità che per perseguitare gli umani decide di celarsi sotto abiti sacri…
“…Una donna di statura superiore a quella umana, avvolta nella veste di un ordine religioso. Aveva la faccia velata; un rosario pendeva dal suo braccio; il suo abito era in vari punti macchiato di sangue che gocciolava da una ferita al petto. In una mano teneva una lampada, nell’altra un grosso coltello”. Ecco come ci si presenta la terribile figura della Monaca Insanguinata, lo spettro tanto inquietante quanto letale che infesta le fredde stanze del castello di Lindenberg. A ritrarla così è il pennello di Agnes, giovane sorella del nobile spagnolo Lorenzo de Medina, coinvolta nel turbine di un amore impossibile con Raymond, marchese de las Cisternas… Di che sto parlando? Chi sono costoro? Procediamo con ordine, ci torneremo tra poco. Al momento vi basti sapere che Agnes, per sottrarsi alle grinfie dell’odiosa zia Rodolpha (a sua volta innamorata di Raymond), si travestirà come la suddetta Monaca e così facendo – sotto i panni di uno spettro a cui nessuno osa sbarrare il passo – riuscirà a evadere dal carcere dorato in cui la rivale l’aveva rinchiusa… Escamotage astuto ma pericoloso, perché con le potenze sovrannaturali non si scherza. Il vero fantasma, infatti, manderà all’aria il piano e, dopo aver separato i due amanti con uno dei suoi infernali trucchi, si presenterà a notte fonda al capezzale dello sgomento las Cisternas in tutta la sua magnificenza: “…un cadavere vivente. La faccia era scheletrica, le gote e le labbra esangui; il pallore della morte illanguidiva i suoi lineamenti; gli occhi erano vuoti e appannati”. Una creatura quanto mai inquietante, decisa – non senza un pizzico di perversa ironia – a reclamare le attenzioni del giovane sostituendosi a sua volta ad Agnes…
Quello che vi ho appena raccontato altro non è che uno degli innumerevoli snodi narrativi, un singolo benché importante episodio, di The Monk, capolavoro del Gotico inglese partorito dalla penna di Matthew G. Lewis nel lontano 1796. Come abbiamo visto parlando di Varney the Vampyre, i lettori del Sette-Ottocento adoravano le architetture letterarie monumentali, magniloquenti e labirintiche, e inoltrarsi in una fitta sequenza di racconti-dentro-il-racconto era ciò che li mandava letteralmente in brodo di giuggiole. Una inclinazione, questa, che fu accolta pienamente dal nobile polacco Ian Potocki, il quale – con uno spirito sottile ai limiti del machiavellico – avrebbe confezionato nel 1805 il suo Manoscritto trovato a Saragozza, straordinario “laboratorio di scrittura” fantastica e picaresca, di cui un giorno mi piacerebbe parlarvi… Ma per questo avremo altre occasioni. La Monaca, dicevo, è solo un piccolo pezzetto de Il monaco (se mi passate il bisticcio di parole), perché vero protagonista del romanzo è infatti il francescano Ambrosio, padre spirituale dei Cappuccini di Madrid, uomo altero ed erudito che si crede – vanesio! – capace di resistere a qualsiasi tentazione possa giungergli dalle cose e dalle persone di questo mondo. “D’aspetto imponente, di alta statura e di lineamenti insolitamente belli: naso aquilino, grandi occhi neri scintillanti, folte sopracciglia…”, Ambrosio è predestinato a cadere dritto dritto sul fondo dell’inferno. Non vi riferirò i dettagli (alquanto delittuosi e raccapriccianti) del lungo capitombolo che lo condurrà laggiù, ma posso dirvi che i suoi guai inizieranno quando scoprirà che Rosario – il giovane novizio a cui si è profondamente affezionato – è in realtà Matilda, una splendida fanciulla perdutamente innamorata di lui. Non son cose da poco, per chi si proclama insensibile alle profferte della carne…
Secondo il medievista Alain Boreau, spesso “l’opinione comune ha confuso le implacabili realtà dell’Inquisizione romana (creata nel 1542) e soprattutto dell’Inquisizione castigliana (istituzione statale fondata nel 1481-1482) con i tentativi limitati e spesso incoerenti dell’Inquisizione medievale”. Quest’ultima – che comunque è riconosciuta dallo studioso come una “potente istituzione” – fu fondata dal papato nel 1233, con uno scopo leggermente diverso da quello che tanti film e tante trattazioni un po’ semplicistiche ci hanno inculcato. Non si trattava insomma di mandare al rogo streghe e stregoni, ma piuttosto di perseguire i semi dell’eresia che sorgevano continuamente all’interno della Chiesa, dove, tanto i sacerdoti di campagna quanto gli alti prelati, si accusavano continuamente l’un con l’altro, di ricorrere a predizioni astrologiche, amuleti pagani, arti magiche di vario genere e invocazione di demoni. Una bella gatta da pelare, insomma. L’Inquisizione era, in questo caso, una sorta di Polizia Politica teologica usata per ripristinare di volta in volta il rigore della vera fede… Obiettivo che comunque non riuscì a realizzare pienamente. La figura del chierico “corrotto da Satana”, nata in quegli anni, si sarebbe infatti innestata così a fondo nella storia della cristianità occidentale da essere accolta e valorizzata più di cinquecento anni dopo proprio dalle fantasie pruriginose del Romanzo Gotico, in un’Inghilterra che – seppure scandalizzata dagli esiti anticlericali della Rivoluzione Francese – non esitava a tirare qualche stoccata al vecchio nemico di sempre: il cattolicesimo romano. Non a caso, gran parte di quelle opere erano ambientate proprio nelle due principali roccaforti del papismo: l’Italia e la Spagna.
Ma torniamo alla leggenda della Monaca Insanguinata. Secondo lo storico della letteratura David Punter, Lewis la “scoprì negli scrittori tedeschi e la inserì felicemente nella trama”, tesi in parte confermata dallo stesso autore, il quale – in una nota posta in calce all’introduzione de Il monaco – sostiene che essa è “ancora diffusa in diverse regioni tedesche; mi informano, anzi, che presso i confini della Turingia esistono tutt’oggi le rovine del castello di Lauenstein abitato dallo spettro”. Invenzione narrativa o aneddoto folkloristico? Probabilmente entrambe le cose.
Da parte sua, però, Lewis decide di presentarci la storiella niente meno che con le parole dell’Ebreo Errante (un’altra fondamentale icona dell’immaginario popolare cristiano, inserita un po’ di straforo nel romanzo), il quale si trova per caso “a passare di lì” proprio nei giorni in cui Raymond è perseguitato dallo spettro: “Beatrice de las Cisternas – ebbene sì, era un’antenata della sua vittima! – prese il velo in giovane età, non per libera scelta, ma per espresso comando dei suoi genitori…”. La ragazza però non era troppo d’accordo. Fuggì dal convento e si mise ad amoreggiare col barone di Lindenberg. Dopo un po’ si stancò della liason e avviò una tresca col fratello di lui, Otto, un pezzo di marcantonio descritto come uomo “dalle membra erculee”. Si trattava di un legame che avrebbe presto prodotto frutti avvelenati: il suddetto marcantonio, dopo essersela cotta a puntino, riuscì a persuaderla ad assassinare il barone per potergli sottrarre il titolo i beni e – così le promise – convolare con lei a nozze. Inutile dire che si trattava di una solenne fregatura. Una volta compiuto l’omicidio, Beatrice fu a sua volta accoltellata da Otto, il quale ne abbandonò le spoglie a marcire nel buio di una caverna. Di lì, lo spirito della donna si sollevò in cerca di vendetta, vestendo la tonaca insanguinata (“in memoria dei voti che aveva infranto”) e portando con sé una copia spettrale del fatale coltello. Prese a infestare le notti del suo carnefice con un miscuglio raggelante di urla animalesche, inni sacri e bestemmie che risuonavano nei lugubri corridoi del castello, finché il cuore del fratricida, nonché quasi-uxoricida, non cedette al terrore…
E detto ciò – conscio di essermi dilungato troppo – vi saluto con un gelido abbraccio, ma non senza una rapidissima osservazione conclusiva che ci verrà presto utile. È infatti interessante notare la neppure troppo vaga affinità che lega questa sanguinosa vicenda a un altro mitema (uno schema narrativo che torna, con piccole variazioni, in molti racconti diversi): quello cosiddetto “della Sposa Cadavere”, del quale vi parlerò sicuramente nel prossimo post…
Bentornato! Finalmente torniamo a leggerti, gustando questi bei voli tra cinema e letteratura, storia e fantasia. Connessioni, legami più o meno sottili, visibili o invisibili, da scoprire grazie alle tue analisi sempre ben fatte e dagli orizzonti ampi. Grazie e complimenti per l'articolo!
Grazie, @nawamy! Per chi scrive, l'attenzione di lettori perspicaci e sensibili come te è linfa vitale.
La malefica suora insanguinata mi ha rivitalizzato la mattina! Tanto da voler rispolverare "The monk" ;)
A-ah! vale sempre la pena di ripescarlo. Diavolo d'un Lewis! :-)
Bentornato!
Grazie! Mi siete mancati. :-)
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