Insieme verso uno sviluppo globale (VII parte)
C’è, però, anche qualcosa che avviene di tremendo: verso la fine del 1400 e l’inizio del 1500, mentre le città italiane erano estremamente ricche, nelle altre città d’Europa, dove non si erano sviluppate queste città, si era sviluppato uno Stato, uno Stato unitario. In Italia tutto ciò non fu possibile perché Firenze non aveva la forza militare e politica di conquistare Milano, Bologna ecc. né i milanesi avevano la forza militare e politica per procedere. Quindi, questa parcellizzazione di città stato, aveva impedito la costruzione di uno stato unitario in Italia, mentre nelle altre regioni d’Europa, dove le città non erano così sviluppate e non avevano una forza sufficiente, lo Stato era nato, erano nate le monarchie nazionali.
Queste, poco a poco, hanno limitato, il potere dei loro feudatari, imponendo la figura del re. Queste entità statali, come Inghilterra, Francia e Spagna sono certamente molto più povere rispetto alle città italiane. Basti immaginare che prima della scoperta delle Indie da parte di Vasco da Gama, le tasse che Venezia incassava nel Mar Nero erano superiori a quelle del re di Spagna. Tale differenza di ricchezza, pone l’attenzione delle nuove entità statali sulle città italiane.
Nasce, pertanto, una guerra tra spagnoli e francesi sul suolo italiano che devastano e distruggono tutte le città conquistate, addirittura rase al suolo. Per 50 anni, fino a metà del 1500, quindi, avviene sul territorio italiano una guerra devastante. Tuttavia, una volta realizzata la pace, l’economia delle città nord italiane sembra rifiorire: è vero infatti che le città vennero rase al suolo, ma il capitale umano rimase in vita e, quindi, in grado di ricostruire l’economia. Tuttavia, nell’assenza dal mercato e nella conseguente mancanza dei prodotti italiani, a Bruge, un paese sottosviluppato che è l’Inghilterra, la quale a Bruge portava la lana che serviva poi in Italia, comincia a esportare viceversa dei prodotti finiti. Il ritorno dell’Italia sul mercato, certamente, impedisce la prosecuzione di quest’opera sul mercato internazionale da parte dell’Inghilterra.
Tuttavia, nel frattempo, a Bruge, Anversa e Amsterdam si comincia a sviluppare un’industria innovativa, con delle caratteristiche totalmente diverse e che serve il segmento basso della società. Siamo, qui, in una situazione diversa da quella del 1300, in cui la domanda si è notevolmente sviluppata rispetto ad allora, perché l’Europa ha conosciuto una fase di sviluppo e, quindi, il fatto che l’Italia non si sia specializzata nella produzione di massa significa che nella produzione del segmento basso non è più concorrente. Inizia, così, una crisi dell’economia italiana che ancora non è visibile nel 1500, nel senso che l’Italia continua a esportare anche se effettivamente all’orizzonte vi sono delle realtà che conducono alla concorrenza. Nella seconda metà del 500, è come se l’economia italiana stesse rifiorendo, tanto che tale periodo viene definito estate di San Martino.
Tuttavia, nel 1600 qualcosa fa intravedere la carenza relativa alla produzione italiana. Come si sa il maggior mercato di esportazione dei prodotti italiani era la Germania meridionale, la quale poi redistribuiva il tutto nel Baltico, a nord quindi dell’Europa. Un secondo mercato era quello Orientale e un terzo mercato diviene importante: nel 1490 si assiste infatti alla scoperta dell’America e qualche anno dopo delle Indie. Tali scoperte fanno si che il commercio, che aveva come centro il Mediterraneo, comincia a spostarsi sull’Atlantico. Ma queste scoperte fanno anche si che la Spagna e il Portogallo ricevano dalle colonie americane (Perù e Messico, dove trovano miniere di argento e oro) interi galeoni. Mentre quindi le città italiane avevano per secoli accumulato ricchezze, la Spagna e il Portogallo si trovano con le stesse quantità di ricchezze in oro e argento semplicemente prelevandole dalle colonie. Nel momento in cui queste ricchezze approdano in Spagna e Portogallo, potrebbero attivare uno sviluppo e un’enorme domanda nei confronti dell’Italia. Verso gli inizi del 1600, però, si verifica una contrazione degli arrivi di oro e argento dalle colonie spagnole e portoghesi mentre, sul versante orientale scoppia una guerra turco-persiana che comporta la contrazione della domanda.
Come se non bastasse per le città italiane, inizia la guerra del trent’anni, la più sanguinosa della storia e gli eserciti dell’intera Europa si combattono sul suolo tedesco. Il maggior acquirente, la Germania meridionale, annulla la domanda, la Spagna contrae la domanda. Tale contrazione mette in crisi enormi l’economia italiana. Perché però contraendosi la domanda internazionale, l’Italia entra in crisi? Non poteva sopperire la domanda interna? Ecco che riprendiamo un concetto prima esposto: la maggior parte della popolazione viveva di agricoltura, che si era trasformata in un’agricoltura di carattere capitalistico, ma nella campagna non si era avuta la stessa cura da parte dei cittadini che veniva utilizzata nei commerci e nell’industria, senza quindi cercare di aumentare la capacità produttiva e di conseguenza i rendimenti. Così nelle campagne non si era realizzato un incremento del potere di acquisto da parte degli agricoltori, quindi l’agricoltura non aveva seguito con lo stesso passo in termini di modernizzazione delle strutture agricole e, quindi, di aumento del potere di acquisto dei soggetti addetti all’agricoltura. Sicché, nel momento di crisi, la domanda proveniente dal settore agricolo non riesce a supplire la carenza di domanda internazionale.
Pertanto, il fatto che non si sia formato un unico stato e quindi un unico mercato, insieme al problema dell’agricoltura, rappresentano l’elemento più importante di ostacolo all’avvio della rivoluzione industriale. La domanda internazionale, infatti, non è stata sufficiente a innescare un processo di cambiamento all’interno del sistema produttivo del settore secondario, ossia il passaggio dall’artigianato all’industria. Questa crisi interna, ovviamente si riversa anche sul mercato internazionale laddove non vi era una guerra: i panni lana prodotti all’estero non avevano nulla a che vedere con la produzione italiana, che si è spostata sul segmento alto della qualità, qualità-prezzo. Evidentemente, su quel settore di domanda, non può affacciarsi la stragrande maggioranza della popolazione, in quanto segmento alto. È vero quindi che una camicia delle città nord italiane dura di più, però sono sempre le camicie con gli stessi tessuti. Cosa è che impedisce all’Italia di riversarsi anche su quel segmento di domanda e accettare la concorrenza internazionale? Perché non riesce a mutare le tecniche produttive? Perché non risponde alla crisi attivando una produzione analoga a quella dei suoi concorrenti, produzione a costi e prezzi più bassi? Perché addirittura non riesce a contrastare la concorrenza interna al paese, dove riesce ad arrivare il mercato olandese, belga e inglese?
Tutto ciò diventa, quindi, un problema del mercato interno, un problema estremamente grave. Perché? Perché se è vero che l’Italia meridionale esporta materie prime ed importa prodotti finiti, tipico dei paesi arretrati, anche l’Italia del nord, in questi anni (1600-1700), comincia ad importare prodotti finiti e esportare materie prime. L’Italia centro-settentrionale, che aveva dominato l’economia internazionale per 6 secoli, avvia, così, la sua avventura di paese sottosviluppato. Ma cosa ha impedito realmente, oltre l’ostacolo dell’agricoltura, di uniformarsi ai mercati internazionali?
Stiamo quasi per entrare nel vivo stemerss!! Al prossimo post!!
Fonti di riferimento:
"La transizione dal feudalesimo al capitalismo", M. Aymard - 1978 - Giulio Einaudi
"Popolo e movimenti popolari nell'Italia del '300 e '400", VI. Rutenburg - 1971 - Il mulino
"Le repubbliche marinare: Amalfi, Pisa, Genova e Venezia: la nascita, le vittorie, le lotte e il tramonto delle gloriose città-stato", G. Benvenuti - 1989 - Newton Compton
"Città, comuni e corporazioni nel medioevo italiano", AI. Pini - 1986 - Clueb
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