Insieme verso uno sviluppo globale (III parte)

in #ita7 years ago

L'ORGANIZZAZIONE DELLE CITTA'


La città rappresenta quello che per gli italiani hanno rappresentato gli Stati Uniti, ossia la frontiera, la libertà; diventano cioè uomini liberi che possono creare qualunque cosa, il più piccolo contadino poteva diventare il più grande commerciante; si andava quindi in luoghi in cui vi era la mobilità sociale, l’autogoverno di queste città, che devono creare tutto, regolamentare tutto, ma soprattutto i rapporti con la campagna, che sono conflittuali. Nello stato moderno, città e campagna non fanno differenza, non vi è differenza per l’ubicazione dove si abita; a quel tempo il cittadino è solo quello che sta in città, i regolamenti e le leggi valgono solo per lui. Proprio perché si assiste lo spopolamento delle campagne da parte dei contadini, che costituiscono la ricchezza e il potere dei conti, si instaura un rapporto conflittuale tra gli stessi, tra conti e contadini. La campagna viene, quindi, dominata e il rapporto era come quello esistente tra colonie e colonizzatori. Il rapporto è quindi assolutamente conflittuale: quando la città è piccola si difende con le mura, quando è grande va all’attacco, domina il mondo circostante. La città ovviamente si deve anche dare dei regolamenti di carattere produttivo: chi è il soggetto autorizzato a produrre? Chiunque è libero di farlo? Come ci si organizza? E attraverso quali strumenti la produzione italiana domina i mercati mondiali per 6 secoli?

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Ebbene, tali città si danno dei regolamenti e si creano delle sorte di entità che oggi chiameremo sindacati, di cui una traccia ancora c’è: l’albo, le corporazioni. La prima cosa che fanno tali città è istituire l’istruzione elementare obbligatoria, alla base dei commerci (al nord però ed è qui che comincia la prima divaricazione). Vi è, infatti, l’esigenza di alcuni tipi di contratti, utili per il commercio. Nascono così, anche se non possono essere chiamate tali, le prime azioni: ci si può recare, per esempio al molo di Venezia e con le azioni finanziare un barcone; se il commercio va a buon fine, io avrò la parte relativa a quanto investito, sennò non avrò nulla. Per far ciò, ovviamente, vi è l’esigenza di dar vita ad un contratto; nasce la figura del notaio. Nascono cioè le professioni e le figure più importanti in queste città saranno quelle dei notai, dei medici e degli avvocati. Ma il potere non è loro, il potere è delle arti, delle professioni.

Queste città si danno regolamenti, si autogovernano e si danno il potere; per la prima volta nella storia non è un’aristocrazia fondiaria che governa, ma un’aristocrazia finanziaria, commerciale. La struttura topografica delle città assume una connotazione che è tipica del commercio; la sede del commercio diventa il municipio; la città è un luogo di liberi e uguali, che si esplica in relazioni tra diverse corporazioni facenti capo alla corporazione delle corporazioni, il municipio, luogo del potere. Ovviamente con il passare del tempo, con l’aumentare della ricchezza, la stessa ricchezza si traduce in abitazioni lussuose ecc. Ebbene il potere nasce da queste corporazioni, ma perché queste corporazioni? Cosa stabiliscono le corporazioni? Stabiliamo intanto una cosa: qui vi è artigianato, ma qual è la differenza tra artigianato e industria? Nell’artigianato la domanda precede l’offerta (io vado dal sarto per domandare un vestito), nell’industria invece è il contrario, l’offerta precede la domanda (Benetton produce mille maglioni e li mette sul mercato). Cosa vi è, quindi, di connotato in questo secondo caso? Il rischio d’impresa; nell’artigianato non vi è rischio.

Ma queste corporazioni come governano? Tutti gli artigiani possono lavorare soltanto dall’alba al tramonto, mai alla luce della candela; possono nella bottega esserci 2-3 gregari, ma non altri membri della famiglia. Questa è la bottega, il centro di produzione dell’artigiano, un lavoratore autonomo (è sua la bottega, il telaio ecc.). Vi sono però degli elementi che garantiscono la qualità, non solo la quantità: si elimina la concorrenza (ad esempio l’esame per l’ammissione alla corporazione dei barbieri ad opera dei curatori della corporazione, limita il numero di barbieri, facendo sì che la concorrenza non va oltre tali regolamenti). Vi sono anche regolamenti che riguardano la qualità della produzione nel senso che le tecniche produttive sono stabilite dalla corporazione (ad esempio stabilire con quale tipo di lana deve essere fatto un maglione). Genova e Venezia esportano tali prodotti in tutti il mondo: India, Asia, Costantinopoli ecc. (ecco perché si parla già allora di globalizzazione) e garantiscono che questi siano uguali a quelli che vanno a Liverpool o Bruge; viene, cioè, garantita la qualità. Allo stesso tempo veniva anche garantito l’immobilismo delle tecniche produttive (il rovescio della medaglia): era impossibile per un artigiano innovare, cambiare le tecniche produttive, quindi vi è una cristallizzazione delle tecniche produttive, che fa la fortuna inizialmente di tutto questo. Ma fa la fortuna anche attraverso il controllo (di tipo militare) di queste aree.

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Il punto debole dell’impero di Bisanzio è proprio il fatto che si affida a genovesi e veneziani per ottenere difesa. Ed è chiaro che a questo punto i veneziani superano i Dardanelli, stabilendo colonie produttive e consolati; sono delle grandi potenze come oggi lo è l’America. In questo caso, però, è solo Venezia, al cui cospetto lavorano 2000 operai che operano in un arsenale, preparando parti prefabbricate da usare in caso di guerra, ingrandendo la flotta da guerra, con la creazione di navi sempre più grandi e l’utilizzazione di tecniche nautiche cambiate completamente rispetto al passato (usano per esempio il timone di poppa, mentre prima era centrale; usano la bussola, importata dai paesi arabi; usano le carte nautiche; si stabiliscono nel mar Nero, da cui traggono degli elementi essenziali quali per esempio l’allume, utilizzato per fissare i colori e trovarne le miniere era una priorità). I genovesi, addirittura, nel mar Caspio costruiscono delle navi direttamente sul posto, in modo da navigare nel mar Caspio e stabilire degli avamposti militari. Stiamo parlando, quindi, del mar Caspio, della conquista dell’Egitto. I veneziani distruggono la flotta egiziana e commerciano con l’Egitto. Ma perché è importante commerciare con l’Egitto? Perché questo confina con il mar Rosso e, quindi, è possibile via mare e non solo via terra raggiungere l’India e l’Asia. Si riesce così a controllare l’acquisto delle materie prime; questo implica la capacità di modernizzare e ampliare la dimensione delle navi, sia commerciali sia militari ed essere sempre in grado di gestire la situazione militare, escludendo da qualsiasi commercio arabi ed ebrei (il commercio è totalmente, infatti, gestito dagli italiani). Ma cosa commerciano? Come? Perché? Qual è il contributo che questo commercio ha dato all’Europa settentrionale?