Il labirinto e il minotauro. Un mito eterno rivisitato da Friedrich Dürrenmatt.

in #ita7 years ago (edited)

«Lo crederesti, Arianna?» disse Teseo.
«Il Minotauro non s'è quasi difeso.»
(Borges, La casa di Asterione, da L'Aleph, trad. F. Tentori)

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L’immagine è tratta da pixabay.com ed è liberamente utilizzabile.

Il labirinto che dipinge Dürrenmatt nel suo bellissimo racconto è una prigione ambigua: "una per coloro che vi entrano per essere annientati, ... e una prigione per lo stesso Minotauro che non riesce mai a trovare una via d'uscita, che si perde continuamente, ... finchè un giorno non si imbatte in chi lo uccide" (1). Ma l’ambiguità di quel luogo deriva anche dal fatto che il labirinto è un gesto di amore e, al contempo, un castigo: un gesto di amore di un padre che vuole creare una sorta di regno unico e perfetto per il figlio, essere unico e mostruoso, nel quale egli possa vivere felice come un dio. Ma per il minotauro il labirinto è anche un castigo, irrogato senza colpa e senza tribunale, che fa scontare al suo ospite la sua mostruosità, perché il minotauro, mezzo uomo e mezzo animale, è “innocente e colpevole” al tempo stesso, oltre che incapace di capire la sua colpa.

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Nella rivisitazione di Dürrenmatt il minotauro è un mostro inconsapevole, mezzo uomo e mezzo animale, tutto istinto, inconsapevolezza, ingenuità e piacere, che vive in un mondo di specchi che riflettono la sua immagine all’infinito.

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In questa inconsapevolezza, il Minotauro incontra l’amore e l’inganno, e infine incontra la morte. Li incontra, ma non li capisce perché non li può capire e non li può sentire.
Il contatto tra il minotauro e la fanciulla si esprime in una danza, che è una sorta di gioco ingenuo e infantile, perché il minotauro non può provare amore e non può capire i sentimenti.

“Lui danzò la sua deformità, lei danzò la sua bellezza,
lui danzò la gioia d’averla trovata, lei danzò la paura di essere stata trovata,
lui danzò la sua liberazione, e lei danzò il suo destino,
lui danzò la sua smania, e lei danzò la sua curiosità,
lui danzò il suo addossarsi, lei danzò la sua ripulsa,
lui danzò il suo penetrare, lei danzò il suo avvinghiare”
(1)
.

Non c’è amore non c’è passione nel mostro infantile: “In lui non c’è altro che un incontenibile felicità fusa con un incontenibile piacere”. “E lui non seppe di prendere la fanciulla, non poteva nemmeno sapere che l’uccideva, perché non sapeva che cos’era la vita e che cos’era la morte”.

Quanto alla morte, il minotauro la incontra nell’illusione del contatto con un essere umano, che è Teseo, armato di spada e travestito con un mantello. Il mostro pensa di poter realizzare un incontro, un gioco, pensa di poter abbandonare la solitudine, ma si avvia soltanto verso il suo destino finale. E quando riceve la spada nel petto è incredulo e non può capire che quell’incontro, in realtà, ha segnato la sua morte.

Nella poliedricità delle chiavi interpretative, il minotauro del bellissimo racconto di Dürrenmatt è anche l’allegoria dell’uomo, prigioniero della sua incoscienza e della sua animalità, l’uomo che è chiuso in un labirinto di specchi che rimandano a mille e mille illusioni di sé, illuso di essere il re di un regno di innumerevoli minotauri che non sono altro che la sua immagine riflessa. Ma quando entra in contatto con altri essere differenti da sé, egli è incapace di capire ciò che lo circonda, è sempre sulla soglia della conoscenza, della passione, della gioia, del dolore e delle emozioni: una soglia che non riesce mai a superare, un limite delle emozioni che non riesce mai a provare per intero. E' nella ricerca spasmodica di un contatto profondo con l’altro, con l’amore, con l’amicizia: un contatto che è impossibile, che è solo una illusione che porta alla morte.

Forse, nell’era dei Social e in un mondo nel quale i rapporti sono sempre più abbandonati al virtuale, la rivisitazione del mito del labirinto e del minotauro assume una nuova chiave di lettura: il mondo virtuale dei Social si rivela un labirinto di specchi che ci rimanda continuamente la nostra immagine riflessa. E la ricerca di contatto con gli altri, di emozioni e di sentimenti, in un labirinto di specchi, rivela solo la nostra incapacità di provare qualcosa di autentico e di uscire dalla solitudine.

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Bibliografia
(1) Friedrich Dürrenmatt, Il minotauro, Zurigo 1985, trad. it., Milano 2015.
(2) Coluccelli, Il labirinto di Dürrenmatt. Luogo della segnalazione dell’alterità e del riconoscimento della solitudine, in http://www.marcosymarcos.com

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Molto bello e molto profondo....

suggestivo e intrigante. complimenti