Peggio del "Maracanazo" - Worse than ‘Maracanazo’ [MULTILANGUAGE]
Thiago Motta, Pietro Luca Cassarino, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
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UN'ALTRA STAGIONE BUTTATA? |
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Essere tifosi è facile quando le cose vanno bene, un po' meno quando la squadra del cuore "regala" in una stagione molte più delusioni che soddisfazioni. Qualcuno sceglie di tenere un basso profilo fino alla prima occasione buona per tornare a suonare le trombe, altri se la prendono a cuore e diventano intrattabili, altri ancora sono talmente disillusi da indossare una specie di inscalfibile corazza.
Poi ci sono gli iper-ottimisti, quelli per i quali ogni sconfitta o obiettivo fallito ha sempre un'attenuante e, checché se ne dica o si veda sul campo, la propria squadra è sempre la più forte. I polemici, che di solito addossano agli altri (arbitri, "palazzo" etc...) i motivi dei propri insuccessi, o gli ipercritici, che al primo passaggio sbagliato stagionale iniziano a trasformarsi in spietate cassandre, desiderando ardentemente per ego personale di ricevere conferme da "Padre Tempo".
Tutto ciò coincide, riassunto a grandi linee, con quello che è lo straordinario sottobosco dei tifosi del pallone e, in ognuna di queste categorie, prima o poi forse un po' tutti noi che amiamo veder rotolare la palla sui prati verdi siamo transitati in diverse fasi della nostra esperienza.
L'Allianz Stadium di Torino, forzaq8 from kuwait, kuwait, CC BY 2.0, da Wikimedia Commons
Se dovessi affermare in quale di esse io possegga dimora oggi, all'indomani della patetica eliminazione subita dalla Juventus in Coppa Italia per mano dell'Empoli (terzultimo in campionato e sceso in campo con una squadra infarcita di seconde e terze linee) e dell'ultimo obiettivo stagionale miseramente fallito, mi troverei piuttosto in difficoltà.
Di certo scarterei la prima, caratteristica forse più peculiare di altre tifoserie abituate da decenni alle vacche magre e a godere solo delle disgrazie altrui, ma anche la seconda: che io ricordi, pur ritenendomi un tifoso appassionato dall'età fanciullesca, non ho mai litigato con nessuno per questioni calcistiche, anche quando qualcuno ha scelto di farlo con me.
Il terzo girone, se preferiamo un approccio dantesco, ovvero quello dei disillusi, con sconfinamento nel quarto dei "poveri" ottimisti, probabilmente descrive meglio il mio stato attuale: da una parte rassegnazione, nei confronti di una stagione che ogni volta che è sembrata raddrizzarsi si è alla fine distorta peggio di prima, dall'altra una fiammella di speranza donata dalle innegabili circostanze sfortunate e da quelle pillole di bontà intraviste.
Il capitano della Juventus, Manuel Locatelli, Kirill Venediktov, CC BY-SA 3.0 GFDL, da Wikimedia Commons
La squadra ha mostrato in stagione sprazzi di bel gioco, a tratti persino esaltante, come nella vittoria ottenuta a Lipsia in rimonta, in situazione di inferiorità numerica, o quella di Torino contro il Manchester City, ma, al di là dei risultati, non ha praticamente mai indovinato due partite di fila sotto il punto di vista della prestazione.
Spesso anzi la benzina è durata solo un tempo, mostrando approcci da film horror, come quello visto ieri, o è finita di schianto dopo un'ottima prima metà, come accaduto ad esempio nella gara di Napoli o nella semifinale di Supercoppa contro il Milan.
La sensazione è che il gruppo sia talmente debole da un punto di vista mentale, da non riuscire a preparare al meglio le partite, o da sciogliersi come neve al sole di fronte alla prima difficoltà. E le colpe, in questo senso, non possono che essere individuate in chi detiene il timone della barca.
Danilo, uno dei tanti epurati stagionali. Brad Tutterow, CC BY 2.0, da Wikimedia Commons
Tuttavia, scaricare addosso a Thiago Motta tutte le responsabilità di quello che, ad oggi, sembra un fallimento senza appello, sarebbe ingeneroso. Quelle mezze partite giocate alla grande, quelle prestazioni sfoderate in alcune circostanze e, non da ultimo, le vittorie esaltanti citate in precedenza, lasciano sperare che una fiammella sotto la cenere stia ancora covando.
La lunga serie di infortuni ha privato la squadra di pedine fondamentali, come Gleison Bremer, il difensore più forte della Serie A, ma anche di altri tre difensori centrali, Cabal, Kalulu e Renato Veiga, questi ultimi due acquistati per sostituire il brasiliano.
In diverse partite, visti gli infortuni di Vlahovic e del lungodegente Milik (prognosi di sei mesi, ma fuori da quasi un anno), la squadra ha giocato senza una prima punta di ruolo , adattando al numero nove esterni come Nico Gonzalez e Weah, o "piccoletti" alla Yildiz, McKennie e Fagioli. Risultato? Un più che prevedibile annullamento della pericolosità offensiva.
A sinistra, Weston McKennie. Kirill Venediktov, CC BY-SA 3.0 GFDL, da Wikimedia Commons
In determinate gare di Champions League, la Juventus si è presentata con solo quattordici o quindici giocatori, roba da tornei parrocchiali. Il dover insistere sempre sugli stessi ha poi portato ad una difficile crescita omogenea del gruppo da punto di vista fisico, con il risultato che la squadra è andata spesso in difficoltà nei secondi tempi o ha patito più del lecito gli impegni ravvicinati.
Colpa dello staff di preparatori a disposizione di Thiago Motta o di quello strano ritiro estivo in casa dell'Adidas? Può darsi, ma lo stesso problema, anche se mai pari al livello di questa stagione, si verifica a Torino ormai da anni, sotto qualunque guida tecnica. E qui entrano in ballo le responsabilità della società.
Chi ha fallito ogni mossa possibile ed immaginabile è infatti il direttore sportivo, Crsitiano Giuntoli. Voluto a tutti i costi proprio per le sua presunta abilità di scovare sul mercato giocatori poco conosciuti ma dal grande potenziale, ha invece dilapidato quasi duecento milioni di euro in soli tre acquisti fallimentari, pagando a peso d'oro Koopmeiners, Nico Gonzalez e Douglas Luiz.
John Elkann, Universitätsarchiv St.Gallen | HSGN 028/01930 | CC-BY-SA 4.0, CC BY-SA 4.0, da Wikimedia Commons
La società, come purtroppo triste tradizione ogni qual volta finisce nelle poco sagge mani di John Elkann, è completamente assente. Le facce della coppia Ferrero-Scanavino, rispettivamente presidente e amministratore delegato del club, non si sono mai viste dalle parti della Continassa, né di fronte a microfoni e telecamere per spiegare i motivi di questa situazione.
Lo spogliatoio è stato descritto in più di un'occasione come una polveriera, ma nessun dirigente si è mai preso la briga di richiamare all'ordine gli elementi più indisciplinati, scegliendo però la strada delle epurazioni e del "muro contro muro" nei confronti di "bandiere" carismatiche come Rugani, Szczesny, Rabiot o Danilo, che di certo sarebbero potuti risultare ancora utilissimi per la loro esperienza e per il senso di attaccamento alla maglia.
Cambiare o no, quindi? Sì, ma non l'allenatore. Darei ancora una chance a Thiago Motta, lasciandolo in sella per un'ulteriore stagione, ma solo a patto che in società entrino figure carismatiche e competenti (Del Piero?), in grado di occuparsi a dovere delle questioni extra-campo. Perché con i fantasmi attuali la mia paura è che fallirebbero tutti, da Ancelotti a Inzaghi, passando per Conte, Klopp o Guardiola.
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