Farne uno in più degli avversari, ovvero quando la difesa non esiste - Scoring one more than the opponents, i.e. when the defence does not exist
L'allenatore del Barcellona, Hansi Flick. Steffen Prößdorf, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

TUTTO SU UN REPARTO |
---|
Ieri sera ho guardato l'andata della seconda semifinale di Champions League, disputata allo stadio Olimpico di Barcellona tra i padroni di casa blaugrana, freschi vincitori in patria della Coppa del Re ed in testa alla Liga con 4 punti di vantaggio sul Real Madrid, e l'Inter campione d'Italia e seconda attualmente in Serie A.
A differenza di quanto sta accadendo ai rivali, che nelle ultime quattordici partite disputate nel torneo iberico hanno collezionato dodici vittorie ed un pareggio, i nerazzurri si presentavano alla sfida attraversati da una profonda crisi, che li ha portati a raccogliere solo 4 punti nelle ultime 4 giornate, nonché a subire la pesante eliminazione dalla Coppa Italia per mano dei cugini del Milan.
I pronostici dei principali bookmakers all'evento prima del fischio d'inizio della gara prevedevano una facile vittoria per i catalani, tanto che un'affermazione nerazzurra veniva bancata spesso con quote superiori a 5, ovvero con un rating già considerato di grande improbabilità.
L'allenatore dell'Inter, Simone Inzaghi. Werner100359, CC BY-SA 4.0, da Wikimedia Commons
L'Inter non ha vinto, ma è riuscita a non crollare e addirittura per alcuni tratti del secondo tempo la sensazione che fossero proprio gli uomini di Inzaghi a far pendere dalla loro l'ago della bilancia si è avvertita in maniera evidente. Il 3-3 finale rimanda tutto alla gara di ritorno e al momento credo che le possibilità di qualificazione rimangano divise a metà.
E questo nonostante il fatto che, in quanto a qualità dei singoli, non credo esista paragone. I campioni d'Italia possono schierare dalla loro una serie di ottimi giocatori, del calibro di Calahnoglu, Barella, Lautaro, Dumfries o Thuram, ma il confronto con i fuoriclasse veri alla Pedri e soprattutto Lamine Yamal è sembrato impietoso.
Lamine Yamal, Werner100359, CC BY-SA 4.0, da Wikimedia Commons
Il Barcellona, pur sotto di due goal dopo appena venti minuti, ha impressionato per tenuta mentale e produzione offensiva. La facilità con la quale gli uomini di Flick si presentavano davanti a Sommer è un qualcosa che mi ha ricordato le partite giocate da ragazzo alla Playstation, quando a sfidarti era un amico giocava per la prima volta.
La sensazione avvertita era che ogni azione potesse tramutarsi potenzialmente in un goal e che con un po' di fortuna i padroni di casa avrebbero potuto chiudere il primo tempo anche sul 4-2 o 5-2. Del resto stiamo parlando di una squadra che nel suo campionato ha realizzato fino ad oggi 89 goal in 33 partite, con una media di quasi tre a gara.
Se affrontare l'Atalanta è come andare dal dentista (parole e musica di Pep Guardiola), trovarsi di fronte al Barcellona di quest'anno può anche trasformarsi in un'esperienza da sala operatoria, nella quale l'unica speranza è che il chirurgo si sia ricordato di farti l'anestesia.
Prendere due o tre goal, specialmente quando si gioca allo stadio del Montjuic (casa temporanea dei blaugrana, in attesa che terminino i lavori di ammodernamento del Camp Nou) è un qualcosa che ogni avversario mette in conto, però a questo punto della storia, come è capitato all'Inter ieri sera, a volte si scopre che il gigante si regge su piedi d'argilla.
Lo stadio Olimpico di Barcellona, Sprok, CC BY 3.0, via Wikimedia Commons
Giocare con grande intensità, alla ricerca costante del pallone, tenendo il baricentro altissimo e portando la linea dei difensori a pressare fin oltre la metà campo, è un qualcosa che, se le cose non si mettono bene da subito, rischia di spremere la squadra all'inverosimile.
Se il gioco d'attacco risulta, come abbiamo detto, quasi fantascientifico, la fase difensiva ricorda molto spesso un film horror. Sui calci piazzati i difensori appaiono lenti e vulnerabili, quasi incapaci di seguire l'azione con la stessa lucidità con la quale si sale verso la porta avversaria, mentre quando la squadra è infilata in ripartenza, ovvero quando il pressing viene aggirato, le coperture saltano clamorosamente.
Zdenek Zeman, ai tempi un cui era allenatore del Foggia. Immagine di pubblico dominio
Tutto questo è figlio della filosofia dell'allenatore tedesco, Hansi Flick, ex guida tecnica del Bayern Monaco e della nazionale teutonica. Per questa specie di Max Allegri al contrario, l'unica fase che conta è quella offensiva e l'unica luce da inseguire è quella del segnare un goal in più degli avversari.
Il gioco di Flick potrebbe ricordare a tratti il primo Guardiola, quello che iniziò proprio da Barcellona la sua sfolgorante carriera. O, per fare un paragone più nostrano, quello dello Zeman visto al Foggia, anche se in entrambi i casi i concetti sono portati ancora più all'estremo.
Per fare un paragone con la vita di tutti i giorni, se i primi due fossero un caffè, Flick sarebbe un caffè che invece di essere fatto con l'acqua ha come base altro caffè. Quanto questa filosofia pagherà anche in Europa, lo vedremo tra meno di una settimana.
I'm part of ITALYGAME Team
together with:
@girolamomarotta, @sardrt, @mikitaly, @mad-runner, @famigliacurione
Upvoted! Thank you for supporting witness @jswit.
This post has been upvoted by @italygame witness curation trail
If you like our work and want to support us, please consider to approve our witness
Come and visit Italy Community